Festival Nazionale del Teatro Città di Aprilia

La compagnia dell’Eclissi in “Il piacere dell’onestà”

Ultimo appuntamento con il Festival Nazionale del Teatro Città di Aprilia che ha registrato successo di pubblico e di critica. In scena la notissima Compagnia dell’Eclissi di Salerno, reduce dai successi ottenuti in tantissimi Festival in tutta Italia, che si esibirà in uno dei suoi “cavalli di battaglia”. Ultima occasione per il folto pubblico degli appassionati di “votare” per lo spettacolo preferito prima della serata di gala del 25 maggio, dove, ci assicura il Direttore Artistico Roberto Becchimanzi, sarà offerta una vera e propria Kermesse comica con otto bravissimi attori che intratterranno e divertiranno il pubblico che vorrà intervenire.

L’adattamento del testo ha mirato all’essenzializzazione della vicenda e del dettato pirandelliano – scontornati e come relegati in uno spazio allusivo e appena definito – serrando la trama in tre movimenti scanditi dal buio tecnico; e individuando sul fondo della scena un luogo appartato, velato da un diaframma, dove i personaggi si incontrano, riflettono, osservano, quasi sospesi per qualche attimo dalla necessità dell’azione.

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Scritta espressamente per le raffinate qualità espressive di Ruggero Ruggeri, che la rappresentò a più riprese, Il piacere dell’onestà debuttò con successo al Teatro Carignano di Torino il 27 novembre 1917, con Vera Vergani nella parte di Agata. A riproporla sulle scene italiane nel secondo dopoguerra furono Luigi Cimara, Salvo Randone (che ne fu per anni memorabile interprete), Alberto Lionello, Gianrico Tedeschi, Ugo Pagliai, Giuseppe Pambieri e, da ultimo, Leo Gullotta.

Intorno a un tavolo, fulcro al tempo stesso del microcosmo borghese e del consolidato organismo famigliare, si giocano le sorti della giovane Agata, a cui l’amore imprudente dell’avvocato Colli, a sua volta infelicemente coniugato con una donna che non lo ama, ha sottratto l’onore. A soccorrere la pericolante rispettabilità della donna e del marito adultero interviene un amico fidato, Maurizio Setti, il quale procura quel marito di comodo che potrà sposare la ragazza e dare un nome al bambino, evitando lo scandalo e il discredito sociale.
Ma è qui che l’invenzione pirandelliana con il consueto scarto creativo solleva la trama dalla convenzionalità della commedia tardottocentesca. Già, perché il prescelto, un aristocratico decaduto che nasconde un passato oscuro e inconfessabili demeriti, accetta di ricoprire il ruolo solo a patto di imporre regole intransigenti, che non lasciano alcuno spazio a sotterfugi e compromessi. Tormentato dalla vergogna di aver infangato il proprio nome, di aver disceso la scala del degrado fino al limite dell’isolamento sociale, Angelo Baldovino, provando ora un intimo, disinteressato piacere dell’onestà, costringe gli altri a seguirlo, con la logica inoppugnabile della ragione, attraverso l’impervio percorso della sua rappresentazione.

Dopo aver sventato i meschini raggiri dei suoi antagonisti, tuttavia, anche Baldovino cadrà vittima all’impatto con la realtà e l’imprevedibilità dell’esistenza, quando la piena ingovernabile dei sentimenti avrà la meglio sulla razionalità astratta, quando la vita, che si era preclusa, prenderà il sopravvento sulla pur gratificante finzione. Recupererà così, quasi a tempo scaduto, la sua dignità di uomo accanto alla donna che ha sposato solo per ossequio alla norma ipocrita e perbenista. Amicizia, e tenerezza, e stima, se non vero e proprio amore, sono ora in grado di sottrarlo all’avvilente solitudine in cui era precipitato, reintegrandolo in un nucleo di affetti. Un finale non del tutto inatteso, che si preannuncia in fondo fin dal primo, obliquo incontro fra i due, quando Agata, nascosta da un paravento, scruta e forse già sceglie Baldovino, apprezzandone la profonda e più autentica moralità. Anch’ella, del resto, distaccandosi dalle regole di un mondo che avverte man mano più estraneo, intraprende un cammino, tutto femminile, che da amante la trasforma prima in madre, poi in moglie.

Melania Limogelli

 

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