Ballata di assoli, di Laura De Angelis

L’intervista alla scrittrice pontina

 

“Ballata di assoli” è la seconda pubblicazione di Lura De Angelis, edito da Nulla Die. Autrice di Latina, affascinata dal mondo antico in tutte le sue sfaccettature, interpreta l’attualità con la tensione dell’immortalità delle idee.  La caratterizza una spiccata sensibilità per l’animo umano, coltivata probabilmente anche nell’attività quotidiana di dirigente scolastico della scuola Don Milani di Latina.

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Il tuo libro parla di incomunicabilità di fondo dell’esistenza umana. La prima curiosità è come sei arrivata alla formulazione del titolo, Ballata di assoli?

La canzone è una tipologia di componimento poetico destinato anche alla danza. Unisce poesia e danza. Le esistenze umane mi hanno sempre fatto pensare alla loro poeticità e al modo in cui attraversino la vita disegnando ognuna la propria coreografia. Come una sorta di danza. Poesia e danza. Questa è l’idea che ho delle esistenze. E, come con la poesia e la danza, c’è il tentativo di comunicare e di “toccare” l’altro. Di creare armonia e empatia. Ma questa è cosa molto rara. Miracolo quando riesce. E, allora, la ballata diviene una ballata di solitudini, di assoli. Non si riesce a infrangere quel confine sottile che impedisce di abbracciare l’altro e esserne abbracciati.

Per fuggire la disperazione di tale consapevolezza, dunque, molte persone ricreano le loro esistenze in modo fantastico. Dando un senso, colorandole di toni che, a guardare dall’esterno, appaiono quasi malati o, quanto meno, ingenui e illusori. Eppure, con gradazioni diverse, tutti noi utilizziamo questo meccanismo “creazionistico”. Che salva, che condanna, che danna. La prima parte del libro racconta personaggi di tal genere. Nella seconda parte manca anche il colore dell’auto-illusione. La seconda parte è buio.

In un’epoca in cui si parla tanto di comunicazione, in cui sembra essere vitale comunicare qualsiasi aspetto della propria vita privata e pubblica, scrivi un libro sull’incomunicabilità. Perché?

Questo eccesso di comunicazione, comunicazione non è. Non è vera necessità o desiderio di entrare in contatto con l’altro. Ma è un monologo egocentrico e autoreferenziale a cui dell’altro non interessa nulla. E’ evidente dalle barriere che si ergono e a cui si dà il nome di libertà. Egoismi che impediscono ogni costruzione di relazioni. E, quindi, si pubblicizza ogni aspetto della propria vita privata e pubblica, senza dire realmente nulla di sé. Senza intenzione di creare quella armonia e empatia di cui dicevo. E, anzi, fuggendo con rabbia qualsiasi tentativo di reale condivisione e comunione ché implicherebbe una seppur minima responsabilità nell’ascolto. La nostra è un’epoca in cui la difficoltà umana nel comunicare è divenuta comodità egoistica.  

Come vivi la tua incomunicabilità di essere umano? È un valore positivo o negativo? Forse, a volte è la nostra unica salvezza…

Ci ho sofferto molto e a lungo. Moltissimo, direi. Tant’è che nei miei libri questo tema torna sempre. A tratti ho cercato di trovare modi per comunicar-mi, a tratti sono divenuta silenziosa per rassegnazione o per difesa. Oggi continuo a sentirmi impotente, a volte, dinanzi alla difficoltà di essere compresa e di comprendere e, quindi, di creare mondi armonici. Però, la mia impotenza la so gestire meglio. Anche se non con minore tristezza. E la riservo ai fallimenti con le persone per me importanti o per obiettivi per me vitali. L’incomunicabilità è un valore negativo laddove crea fratture e separazioni e solitudini. Ha una positività quando si tenta di superarla e nasce così un progetto o nasce l’arte. Il grande sogno dell’arte che è desiderio di comunicare.

Lavori quotidianamente con i giovani. Quanto ti hanno ispirato nella realizzazione di questo lavoro?

In realtà, una delle cose che più amo dei giovani è la fiducia istintiva nella comunicazione. Insomma, la solitudine del silenzio è degli adulti. I giovani si entusiasmano, urlano, spesso urlano anche cose irragionevoli, ma tentano. Hanno quella verginità e spontaneità di sentire che gli adulti perdono. Crescendo la vita irrigidisce e accartoccia. Indurisce. I giovani sono ancora salvi. Almeno la maggior parte di loro.

Silvia Petrianni

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