“Cari Nonni” – Alla scoperta dell’altro

Oggi vi proponiamo “Alla scoperta dell’altro”, brano completo di Simona Palazzo, vincitore della Categoria B della rassegna “Cari Nonni”

Cari nonni,
quando mi accompagnate in piazza Roma per incontrare le mie amiche, vi sento spesso ripetere queste parole: “Quanto è cambiata Aprilia in questi anni!”. Io mi accorgo che le vostre facce non sono sempre sorridenti ma preoccupate. Alcune volte date delle moneta a quel signore che si siede davanti alla chiesa di San Michele o vi chiedete come mai quei bambini così piccoli stanno in giro per la strada invece di essere a scuola a imparare ciò che servirà loro per avere una vita migliore. Sentite tante lingue diverse che non capite e vedete visi di tanti colori che vi incuriosiscono. A volte le facce di queste persone sono provate da una lunga sofferenza dovuta al loro passato a volte sono sorridenti per aver trovato una città che li ha accolti. Voi, però, cari nonni mi dite sempre che una volta, quando giravate per le strade di Aprilia, non c’erano queste persone anzi vi conoscevate e vi salutavate tutti. Allora oggi mettetevi seduti e ascoltate una ragazzina che, come a tante della mia età, tutto ciò non sembra così strano perché questi ragazzi di tanti colori diversi sono presenti nelle nostre aule e abbiamo imparato a conoscerli.

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Oggi vi voglio raccontare la storia di uno di questi ragazzi…
Si chiama Niba ha tredici anni come me ma la sua vita finora non è stata come quella di tanti ragazzi della nostra età. Proviene dal Sudan e il viaggio infernale che lo ha portato in Italia e poi ad Aprilia è stato solo il punto di arrivo di una vita dura e piena di sofferenze. Fino a cinque anni la sua vita scorreva serenamente, la sua famiglia lo riempiva di affetto e lo teneva lontano dai problemi della vita. Suo padre faceva il minatore, guadagnava poco ma bastava per far sopravvivere la famiglia. Un giorno, però, iniziò a tossire. Inizialmente non si preoccuparono ma in seguito la tosse aumentò fino ad impedire al padre di andare a lavorare. Il mercurio proveniente dalla miniera gli aveva devastato i polmoni. Niba stava vicino al suo letto tutto il giorno e non faceva altro che intrattenerlo con le parole da bambino ma capiva che i giorni della sua fine erano vicini. Sua madre era devastata dal dolore e dalla preoccupazione di quello che sarebbe stato per lei e per suo figlio. Una mattina il papà di Niba prese la sua mano e l’avvicinò al petto, poi gli sussurrò delle parole che non riuscì a capire e chiuse gli occhi per sempre. Niba chiamò a squarciagola la madre che stava fuori la capanna, coltivando un piccolo pezzo di terra ma non giunse in tempo. Il padre era morto e con lui le sue speranze per il futuro. Da quel giorno Niba non andò più a scuola nel villaggio vicino ma rimase con la madre per aiutarla nel lavoro nei campi. Un giorno mentre si trovava al fiume per lavare i panni, due uomini gli misero un sacco sulla testa e lo portarono via sulle spalle. A nulla valsero le sue grida di aiuto, nessuno poteva sentirlo né aiutarlo anzi peggiorarono la situazione perché quei due gli diedero un colpo in testa per non sentirlo e Niba perse i sensi. Quando si svegliò, si trovò in un luogo buio e a fatica riusciva a vedere ciò che lo circondava. Scorse delle catene e poi vide altri bambini proprio come lui. Era un ragazzino sveglio quindi capì subito quello che gli stava accadendo: era stato rapito. Ma cosa volevano da lui e dagli altri bambini? Lui così piccolo e fragile? La mattina seguente lo scoprì. Alcuni uomini con delle fruste li vennero a prendere, prima li legarono con delle corde poi li caricarono su un furgone e li portarono fuori del villaggio. Viaggiarono per parecchio tempo fino a quando si fermarono ai piedi di una montagna. Li fecero scendere e diedero ad ognuno di loro una pala e un cesto. Con modi bruschi li mandarono dentro ad un piccolo buco scavato nella montagna e gli indicarono delle pietre. Capì che bisognava trovarle nel buio della caverna ma tutto era così difficile! Non si vedeva, non si respirava, si era da soli anche se intorno a lui c’erano i suoi compagni di sventura. Quella fu la prima di altre interminabili giornate. Si alzava la mattina presto, mangiava un po’ di pane secco e subito dentro quel buco nero dal quale usciva solo quando intorno non c’era più il sole. Non aveva vestiti per coprirsi né un po’ d’amore che gli riscaldasse il cuore.

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Passarono così ben sei anni fino a quando un gruppo di militari arrivò alla miniera. Erano armati ma la loro faccia non incuteva terrore. Solo in seguito Niba seppe che era l’esercito delle Nazioni Unite chiamati i Caschi blu che difendevano le persone più deboli e portavano la pace nei luoghi di guerra. Dopo averli liberati li portarono in un luogo sicuro, gli diedero dei panni puliti e finalmente del cibo saporito. Niba trascorse lì dei giorni felici ma qualcosa lo tormentava. Ormai era diventato un ragazzo e aveva voglia di una vita migliore. Si unì ad un gruppo di persone che stavano tentando di fuggire in Europa, terra di pace e di libertà. Il viaggio naturalmente verso la costa mediterranea fu lunghissimo e pieno di difficoltà di ogni genere ma il desiderio di arrivare alla meta era grande. Non appena vide il mare, il cuore gli si riempì di gioia ma come fare ad attraversarlo? Qualcuno gli offrì di salire su una specie di barca ma prima gli chiesero dei soldi. Niba non aveva denaro quindi non poteva salire. Una donna che vide la scena supplicò l’uomo di prenderlo a bordo perché era suo figlio. Lui alla fine accettò ma la donna dovette pagare altri soldi. Dopo due giorni di navigazione in condizioni estreme arrivarono in una terra amica e accogliente: la Sicilia. Rimase lì alcuni giorni e dopo il suo viaggio continuò fino qui, in questa città dell’Agro Pontino già ricca di storia e culture diverse.

Cari nonni, naturalmente Niba mi ha raccontato altre storie ma non voglio annoiarvi troppo. Vi ho voluto solo far conoscere un mio nuovo compagno e un nuovo cittadino di Aprilia. Così capirete meglio anche voi le trasformazioni della città in cui viviamo e del mondo intero e potrete aiutarci a convivere in pace…

Di Simona Palazzo

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