Un dramma nel dramma. 20 anni per una casa popolare che non arriva, ma la lettera di sfratto è inesorabilmente puntuale. La famiglia D’Aversa, composta da tre persone, si trasferisce nell’appartamento di via Beniamino Gigli a Campo di Carne 17 anni fa, prima era un edificio adibito a scuola. Tanti i sacrifici che hanno contraddistinto la vita di Pietro e della moglie Speranza, ma nonostante ciò i due coniugi, dopo tutti questi anni, seguitano a vivere in una casa umida, fredda, con poca luce, senza riscaldamenti né metano, una scelta non voluta quasi obbligatoria.
Pietro appassionato di disegno, riempie le sue giornate rappresentando Paesi lontani e fiori della sua terra natia. Utilizza nelle sue raffigurazioni colori caldi ed accesi con una collocazione ben precisa e sembra donare al disegno un’anima. La consorte, pur autosufficiente ma con problemi alla deambulazione, trascorre le giornate occupando il suo tempo nelle faccende di casa e davanti alla televisione.
Ma le lotte della famiglia D’Aversa, iniziate sotto l’Amministrazione Cosmi per ottenere una casa popolare – che in fin dei conti gli spetta di diritto – continuano. L’angosciato appello (riportato anche nel video-messaggio) è indirizzato al Sindaco Antonio Terra, invitando lo stesso a fare un sopralluogo e constatare di persona la condizione abitativa della famiglia.
E’ freddo ed umido l’appartamento dei D’Aversa. Tali circostanze avrebbero comportato un progressivo peggioramento delle condizioni di salute di entrambi i coniugi, costretti a convivere con malesseri legati alla troppa umidità incamerata per anni e con malattie di altra natura, che inducono gli stessi a trascorrere tantissimo tempo dentro casa:
“Sono 20 anni che aspettiamo l’assegnazione di una casa popolare; uscito il bando il Comune ci ha immediatamente informati in maniera tale da compilare la richiesta in tempo. Sono 17 anni che abitiamo in questo appartamento senza riscaldamenti, senza gas metano, l’umidità ci sta divorando le ossa. Ovviamente mettiamo in funzione le stufette elettriche per riscaldarci e non può immaginare la bolletta quanto è salata! Inoltre la permanente convivenza con l’umidità ha causato problemi alla respirazione, allergia ed un precoce inizio di artrosi. Nel mentre di questa diatriba ci arriva per posta a Luglio la lettera di sfratto la quale proponeva di trovare un appartamento e per un periodo di tempo il Comune avrebbe coperto economicamente le spese per poi consegnarla definitivamente a noi. Finito il sussidio, come avremmo fatto a mantenerla? Mio marito soffre di seri problemi cardio-vascolari e di respirazione: infatti la notte è costretto a dormire con il sondino dell’ossigeno attaccato. Il Comune conosce il nostro disagio esistenziale, ma sembra che il target richiesto per l’assegnazione sia di 65 anni. Non chiediamo una villetta a schiera, ma un appartamento semplice, piccolo adatto ad una coppia di anziani ed ovviamente ad Aprilia, perché non siamo in grado di muoverci liberamente anche se auto-muniti. Tiriamo avanti grazie al sussidio di invalidità di entrambi e la pensione minima di mio marito: circa 700 euro ma più della metà viene speso per le medicine e per le imposte. Valutiamo tutto, i sacrifici sono continui e qualora ci fosse la necessità di una spesa imprevista non sapremo dove sbattere la testa.”
“L’ultima richiesta al Comune è stata fatta circa 3-4 anni fa. Dopo quest’ultimo frangente l’Assessore ha garantito che fra 3 anni ci sarà assegnata una casa popolare all’interno del nuovo palazzo che sta sorgendo in via Guardapasso. E nel frattempo? L’appartamento è di proprietà privata ed il Comune sono 3 anni che non paga l’affitto. La lettera di sfratto potrebbe essere l’unica soluzione per l’ente comunale al fine di evitare questa spesa, ma fino a quando non arriva l’ufficialità viviamo con la paura di perdere quel poco che abbiamo. L’Ufficio Case, dove mio marito si è recato qualche mese fa, ha detto che in graduatoria ci sono diverse famiglie indigenti prima di noi che necessitano di una casa. Non mettiamo in dubbio tutto ciò, ma quello che non riusciamo a spiegarci è lo slittamento dalla posizione 12 alla 45.
Invitiamo ufficialmente il Sindaco e l’Assessore a casa per far vedere loro la condizione disumana in cui viviamo da 17 anni. Mio marito ha cambiato molti lavori, è stato in grado di adeguarsi a qualsiasi mansione per donare a me e a nostra figlia una vita degna: ci sentiamo privati di un nostro diritto. E’ venuto a mancare col tempo anche il sussidio comunale, sostituito dai lavori socialmente utili, ma le condizioni di salute di mio marito non gli permettono di lavorare. E’ diventato difficile sostenere economicamente, fisicamente e psicologicamente questa situazione; entrambi siamo invalidi civili, convivere con tale disagio e spostarci è diventato un dramma.”
Dopo tante battaglie la famiglia D’Aversa riuscirà a spuntarla? L’Amministrazione e l’Assessore di riferimento avrebbero garantito ai coniugi di preservare loro un appartamento popolare (degli 87 previsti) nel nuovo edificio Ater che dovrebbe sorgere in via Guardapasso. Ma fra tre anni. Ai posteri l’ardua sentenza.
Melania Orazi