Filippo Simeoni: storia di un campione

L’ex ciclista di fama nazionale oggi gestisce un bar a Sezze

Stefania Saralli

L’appuntamento è in tarda mattinata, presso il suo bar. Sì, perché oggi Filippo Simeoni, ciclista campione d’Italia nel 2008 nonché uno dei primi a scoperchiare la pentola sul mondo del doping, oggi gestisce un comune locale di ristoro nel centro commerciale di Sezze. Ci sediamo nell’area esterna del bar. Indossa una polo azzurra e mi chiede subito di dargli del tu e io, a dirla tutta, mi sento un po’ a disagio. Ma Filippo Simeoni è un tipo che ti mette a tuo agio, è un signore alla mano, tant’è che il suo saluto è per ogni persona che passa.

Da campione d’Italia a gestore di un bar. Com’è stato il ritorno a una vita più ordinaria?

Non è stato semplice. Ti abitui a stare al centro dei mass media, a condurre una quotidianità letteralmente diversa. Tornare a una vita più regolare richiede sicuramente una certa dose di intelligenza.

Ti manca la vita da ciclista professionista?

Amavo la mia professione, sognavo di farla da quando avevo 9 anni. È uno sport che mi ha plasmato, insegnandomi dei valori che poi ho trasmesso nella vita di tutti i giorni, quali la competizione e l’agire per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Com’è nata la scelta di non rimanere nel ciclismo professionistico?

È  stata una scelta dettata dal cuore. In fin dei conti, conducendo quella vita ero diventato un nomade. Ero arrivato al punto in cui mi sentivo stanco di preparare e disfare la valigia. Al contrario, io desideravo stare accanto alla mia famiglia, a mia moglie e ai miei figli che ora hanno 11 e 4 anni. È una fase particolare per loro e io voglio essere un papà presente.

Perché sono nati “Gli amici del borgo” e “Il Pirata”?

“Gli Amici del Borgo” raccoglie tutti gli amici che mi hanno seguito negli anni della mia carriera. Ogni anno organizza il Gran Premio Città di Sezze, una gara ciclistica che quest’anno si terrà domenica 15 settembre. “Il Pirata”, invece, è la scuola ciclistica nata nel 2006 e che raccoglie i ragazzi dai 7 ai 13 anni. Io ne sono il vicepresidente, il presidente è Andrea Campagnaro.

Cosa vuoi trasmettere ai ragazzi iscritti all’associazione sportiva dilettantistica “Il Pirata”?

Vorrei che imparassero a vivere lo sport in modo sano. D’altra parte, sono loro che conservano il vero spirito dello sport, poiché lo vivono ancora seguendone i valori positivi della sana competizione e dello spirito di gruppo. Per il resto, l’obiettivo mio e di tutto lo staff è quello di farli stare all’aria aperta, trasmettendo loro i valori della solidarietà, della lealtà e dell’amicizia. Ultimo, ma non per importanza, è cercare di toglierli dalla strada e dai pericoli in cui possono incorrere. E devo dire che mi stanno dando diverse soddisfazioni. Non solo dal punto di vista sportivo, anche se le vittorie che abbiamo portato a casa fino a ora sono molte. Ma anche sotto l’aspetto personale: è grande la gioia quando uno dei ragazzi mi telefona per espormi un suo problema.

Come sono i rapporti con i tuoi ex colleghi ciclisti?

Con alcuni ci sentiamo ancora. Certo, abitiamo in paesi distanti e le occasioni per incontrarsi sono poche, se non del tutto assenti. Ma è sufficiente una telefonata per ricordare un’esperienza che abbiamo vissuto insieme e che ci ha legati.

Cosa consigli a un giovane che vuole intraprendere la carriera di ciclista professionista?

I giovani sono il nostro futuro, spero che imparino dagli errori delle vecchie generazioni e che non li ripetano. Questo in tutti i campi, dal ciclismo alla politica e così via.

Un’ultima domanda: a tuo parere, la piaga del doping è un fenomeno ancora molto diffuso tra i ciclisti?

Il ciclismo è uno sport molto popolare e in quanto tale è sottoposto a numerosi controlli. Tuttavia, se guardiamo le statistiche, gli sport meno seguiti sono meno soggetti a verifiche volte a scovare eventuali assunzioni di sostanze dopanti. Se questi sport subissero lo stesso numero di controlli, probabilmente conterebbero lo stesso numero di positività del ciclismo. Comunque, il ciclismo è uno sport che sta irrigidendo gli esami in tal senso. Basti pensare al passaporto biologico, con prelievi periodici e controlli a sorpresa. Il vero problema è a livello amatoriale, in cui i controlli sono scarni.

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