Moriva il 1 Giugno 1970 a Milano. Giuseppe Ungaretti era un’interventista, come tanti altri suoi “colleghi di poesia” e uomini intellettuali. Quando l’Italia si dichiarò entrante nella Prima Guerra Mondiale, il poeta si arruolò volontariamente nel 19° Reggimento di fanteria della brigata “Brescia”. Passò due anni di scontri sul Carso ritrovandosi a vivere le trincee.
Fu la poesia, furono le parole su carta, su fogli strappati, furono quelle studiate in giovinezza e quelle poi scritte nella guerra e più tardi a trattenerlo ancorato alla vita, al tempo circondata di dolore e morte.
Ogni sua poesia aveva l’intento di salvare la sua individualità e poi quella degli altri, come finestre che davano la possibilità di affacciarsi oltre il sangue, oltre la sconfitta, ma dove la vita non è altro che vita, piena, sensuale e da vivere.
“Veglia” la scrisse poco prima del Natale 1915. Raccoglie l’atrocità più concreta che la guerra può consegnare agli occhi di un uomo, terminando però con un senso di serena presa di coscienza di ciò che la vita è che si astrae da tutta quella morte e tutta quella guerra.
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita