Nomofobia: dipendenza dal cellulare

Quando lo Smartphone rappresenta il mezzo per entrare in un mondo bellissimo

Inevitabile in un mondo in cui i rapporti umani diventano sempre più fragili veder coniare un nuovo termine che sottolinea l’allarmante fenomeno della distanza tra i corpi e soprattutto tra le anime.

Nasce così la Nomofobia: un termine di recente introduzione (nomophobia nel mondo anglosassone) che designa la paura incontrollata di rimanere sconnessi dal contatto con la rete di telefonia mobile.

Lo studio ha rilevato che quasi il 53 % degli utenti di telefono cellulare in Gran Bretagna tendono a mostrare uno stato ansioso quando “perdono il loro cellulare, esauriscono la batteria o il credito residuo o non hanno copertura di rete”. Lo studio ha rilevato che circa il 58% degli uomini e il 48% delle donne soffrono di questa fobia, e che un altro 9% è stressato quando il cellulare è fuori uso.
Lo studio ha esaminato 2.163 persone:

– il 55% degli esaminati citavano il bisogno di tenersi in contatto con amici e familiari come causa principale dello stato ansioso che li assale quando non possono usare il cellulare, esso ha inoltre rilevato che i livelli di stress indotto mediamente dalla nomofobia sono paragonabili a quelli indotti dalla “tremarella del giorno delle nozze” o a quelli di quando si va dal dentista;

– il dieci per cento degli intervistati ha detto di avere necessità di essere rintracciabile in ogni momento per motivi di lavoro;

– più di un nomofobo su due non spegne mai il proprio cellulare

nomofobia (2)

Chiediamo al Dott. Giuseppe Di Maria Dott. in Psicologia dello Sviluppo, dell’Educazione e del Benessere e Consulente in Sessuologia Clinica,  ulteriori chiarimenti in merito.

Da dove nasce questo tipo di dipendenza?

“La dipendenza verso forme di affetto leggero, le famose “coccole”, può essere ricercata nella naturale esigenza di ogni essere vivente verso un bisogno di amore e di appartenenza (Maslow, 1954). E’ una dipendenza innata messa in risalto da celebri esperimenti su cuccioli di scimmie, che tra un fantoccio di ferro che generava latte e un fantoccio caldo di peluche, preferivano accoccolarsi al fantoccio di peluche, salvo che per soddisfare momentaneamente la fame (Harlow, 1958). Tali ricerche hanno portato poi alla teoria sull’attaccamento che interessa tutti noi nei primi anni di vita (Bowlby, 1972).”

Quali sono le fasce d’età maggiormente colpite?

“Il fenomeno è in crescita e si è sviluppato da qualche anno con l’avvento dei moderni mezzi di comunicazione (smartphone, tablet). Certamente i cosiddetti “nativi digitali”, ovvero l’attuale fascia di ragazzi in fase adolescenziale, sono quelli maggiormente colpiti da questo fenomeno, ma penso di poter affermare che chiunque entra in contatto col mondo dei social network ed ha una dimestichezza con i moderni apparecchi tecnologici, viene inesorabilmente attratto da un vortice comportamentale dal quale è difficile riuscire a tirarsi fuori.”

Può realmente portare ad un isolamento dell’individuo?

“Non parlerei d’isolamento, in realtà tale fenomeno è alimentato dall’esigenza di avere amici e di sentirsi parte di un contesto sociale reale che il moderno stile di vita ha a poco a poco deteriorato.  Francamente non vedo niente di traumatico verso forme di affiliazione attraverso i social network, a patto però che si rimanga padroni di se stessi e che si mantenga un contatto con la realtà. Il vero rischio è quello di tralasciare affetti, lavoro e impegni reali per rifugiarsi in un mondo bellissimo, ma inesistente.”

Come poter intervenire per risolvere questa dipendenza?

Siamo tutti “nomofobi”?

 “Un consiglio che mi sento di dare è di stabilire regole di approccio con i social network, fissare orari oltre ai quali non bisogna andare e dare priorità alla vita reale. Non credo che siamo tutti “nomofobi”, ma penso che abbiamo bisogno di affetto, di parlare con qualcuno che ascolta i nostri problemi e ci possa dare un consiglio. Lo smartphone rappresenta il mezzo per entrare in un mondo bellissimo pieno di amici, ma la realtà è un’altra.”

 

Ringraziando il Dott. Di Maria per aver definito e chiarito meglio le cause che conducono l’individuo alla Nomofobia, è inevitabile fermarsi a riflettere sull’importanza della cura degli affetti “reali” e su come il tempo e l’amore dedicatogli siano un boomerang che torni verso di noi riempiendoci l’anima di autenticità.

Alessia Locicero

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