“Quando dovevamo scegliere da che parte stare”

La storia di Giuseppe Raggi, prigioniero in un campo di internamento militare nazista.

Se è vero che per creare una forte identità cittadina è necessario studiarne le origini, allora la storia di Giuseppe Raggi, uno tra i primissimi cittadini apriliani, non può essere ignorata.
Il passato del signor Raggi è costellato di eventi, ma l’esperienza della prigionia in un campo di internamento militare tedesco, ad oltre 70 anni di distanza, continua a toccarlo nel profondo.
L’appena 18enne Giuseppe, contadino originario di S.Benedeto (Forlì), venne arruolato come soldato di fanteria nel novembre del 1942 e lo stesso, con una preparazione militare di appena 9 mesi, nell’agosto del 43 era già alle armi, nel dipartimento misto delle truppe italiane combattenti a Zara. L’autunno di Zara del 43 è noto a molti per gli atroci bombardamenti anglo-americani che costrinsero le truppe dell’Asse ad una celere ritirata. Allo stesso tempo, l’armistizio dell’8 settembre diede luogo ad una lunga serie di ripercussioni da parte dei militari tedeschi sui soldati italiani che rifiutavano la collaborazione nazista e pertanto considerati “miserabili traditori”. Proprio in questo contesto si colloca la decisione del giovane Raggi di non collaborare col nemico e di tentare ogni via di fuga per tornare a casa. I progetti del giovane, tuttavia, furono bruscamente frenati dalla difficoltà di trovare mezzi di trasporto che rimpatriassero i soldati e dopo mesi da girovago per tutta la Iugoslavia, fu catturato dai militari tedeschi. Su di un treno fatiscente e stipato di prigionieri, viaggiò per giorni attraverso Iugoslavia ed Austria sino in Germania.
La prigionia in un campo di internamento militare tedesco -il nome del sito è lecitamente offuscato dalla memoria del signor Raggi- fu orribile. Per ben due anni fu costretto a lavorare in una fabbrica tedesca di attrezzi agricoli, mutata, a ridosso del ’45, in industria bellica. Nonostante la fatica,la fame, le scarse condizioni igieniche, le bastonate, le quotidiane umiliazioni, si viveva con il terrore di essere presi di mira dai bombardamenti degli Alleati, che prediligevano le fabbriche d’armamenti come obiettivi da annientare quanto prima.

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Giuseppe Raggi

La tanto attesa liberazione giunse solo nell’autunno del 45, quando i militari americani aprirono i cancelli del campo e concessero ai soldati italiani il rimpatrio, sino a Verona.

“Il viaggio di ritorno -ci racconta il signor Raggi- fu un po’ una sfida con la fortuna”, ma la voglia di riabbracciare i propri cari e respirare aria di casa era un monito a sopportare qualsiasi difficoltà.
Ritornò ad Aprilia nel dicembre del 45, desideroso di potersi finalmente occupare del suo podere in località Riserva Nuova, dove tuttora vive e possiede l’attività di famiglia. Per il coraggio dimostrato nell’adempimento del proprio dovere e i sacrifici sostenuti durante il periodo di internamento, Giuseppe Raggi è stato insignito della Croce al Merito di Guerra e della medaglia d’onore per i cittadini italiani deportati e internati nei lager nazisti.

Ascoltare il racconto del signor Raggi è un’esperienza toccante, tanto quanto vedere il suo sguardo umile, saggio, buono incupirsi al ricordo di quello che è stato. Perché l’importanza del ricordo sta proprio nell’empatia che s’instaura tra chi parla e chi ascolta: rivivendo anche solo con l’immaginazione una vicenda che ha segnato la storia di tanti nostri concittadini e facendone tesoro, condividiamo l’aberrazione per la guerra e rendiamo noi stessi custodi d’un messaggio di pace.

Sofia Boni

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