APL denuncia “l’abusivismo istituzionalizzato”

Il coordinatore del Movimento denuncia con dovizia di particolari i raggiri al fisco della concorrenza sleale fatta dai commercianti abusivi

Nuova denuncia di Aprilia in Prima Linea sul commercio abusivo messo in piedi da cittadini stranieri.

L’attacco portato dal coordinatore del Movimento, Emanuele Campilongo, viene formulato con dovizia di particolari.

E si concentra principalmente su due aspetti: le lacune normative, che permettono l’esistenza dell’abusivismo, e l’evasione dell’Iva.

Pochi controlli e leggi aggirate

Sul primo punto, Campilongo porta come esempio quello del mercato settimanale del sabato.

Da qualche tempo, infatti, gli attivisti di APL si recano sul posto per aiutare nei controlli le forze della Polizia Locale:

“Basta girare come facciamo noi per il mercato settimanale – sottolinea Campilongo – per accorgersi dell’abusivismo ormai istituzionalizzato e non contrastato.

La concorrenza sleale dei commercianti stranieri si basa sull’utilizzo delle storture sia del sistema normativo che degli apparati di repressione.

Gli stranieri sono debitamente informati di queste “possibilità” dal passaparola all’interno delle loro comunità etniche.

O da enti, associazioni o presunte tali gravitanti tutti nell’area della sinistra pro invasione.

Ed hanno ormai creato una sorta di “commercio parallelo”, dove le regole non sono uguali per tutti.

Quindi non è che gli stranieri siano più bravi, che lavorino più duramente o che facciano ciò che noi non vogliamo più fare.

Ma, molto più semplicemente, adottano una condotta che a noi italiani non è possibile portare avanti.

Azzerando in pratica ogni possibilità di pagare tasse, multe e sostenere le spese necessarie al rispetto di codici e regolamenti sia in ambito sanitario che di lotta al lavoro nero.

Questa è concorrenza sleale e chi lo nega è complice.

Numerose inchieste giornalistiche – continua il coordinatore di APL – hanno già messo in evidenza questo modo “alternativo” di fare impresa.

Per la legge italiana, a partire dall’apertura il titolare ha tempo 18 mesi per regolarizzare la propria posizione davanti al fisco.

Questo intervallo di tempo viene sfruttato per non pagare assolutamente nulla e, poco prima della scadenza, chiudere l’azienda.

Per riaprirla immediatamente sotto un nome diverso.

Ciò senza sborsare un euro e lasciando un buco di tasse non pagate che chiaramente dovrà essere “riparato” da chi le tasse le paga”.

L’Iva agevolata

Altro punto su cui insiste l’intervento di Campilongo riguarda l’evasione dell’Iva.

Un aspetto che rimarca l’impossibilità dei commercianti italiani di essere in concorrenza con i commercianti stranieri che non rispettano le regole.

Il riferimento, nello specifico, a market, frutterie e lavaggi auto:

“Molto spesso – sottolinea Campilongo nella sua nota – tali negozi vendono abusivamente anche altri generi alimentari.

Tra cui alcoolici e lavorati in scatola o sfusi, in barba a qualsiasi controllo sanitario e di certificazione sulla tracciabilità.

Oppure forniscono servizi o vendono merci fuori dalla categoria merceologica di riferimento.

I dati di Confesercenti Roma ci dicono che è prassi consolidata, per i gestori di tali negozi, battere scontrini con iva al 4% su prodotti dove l’imposta sarebbe al 22%.

Mettendosi in tasca direttamente la differenza.

A chi vorrebbe obiettare che tali comportamenti possono essere adottati anche dagli italiani e che non sono esclusiva prerogativa degli stranieri, rispondiamo che in pratica non è così.

Infatti, presupposto essenziale per questa truffa è la completa mancanza di legami con il territorio.

Sia dal punto di vista sociale che finanziario.

Infatti basta essere proprietari di un immobile o altro per vedersi recapitati i verbali e le ingiunzioni delle varie Equitalia e similari.

Mentre coloro che sono gli intestatari di tanti di questi negozi sono completamente sconosciuti allo Stato e al fisco.

E spariscono senza lasciare né tracce né beni su cui rivalersi.

Chi dovrebbe controllare nemmeno ci va più, poiché non si riesce mai a trovare alcuno che paga.

Mentre nei negozi italiani – conclude il coordinatore APL – ci vanno poiché lì qualcuno che paga lo trovano di sicuro.

O al massimo gli si fa chiudere bottega“.

di Massimo Pacetti

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