L’altra faccia della Bielorussia

Un viaggio verso un Paese che ha molto da raccontare

Dina, occhi da cerbiatto che dal basso ti guardano intimoriti. Ha otto anni ed è una di quelle bambine arrivate in Italia per “disintossicarsi” dalle radiazioni. Piccola, dolcissima è una delle tante creature che vengono affidate a famiglie come la nostra durante il periodo estivo, non per trascorrere una rilassante vacanza, ma per seguire un percorso che riduca il rischio di tumori alla tiroide. Ed è proprio per lei che mi sono spinta in un Paese a me allora sconosciuto: la Bielorussia! Non la Bielorussia di Minsk, Pinsk o Brest, ma la Bielorussia dei numerosissimi villaggi non molto distanti da Pripyat, ovvero la città fantasma distrutta da Chernobyl. Ma quanto sto per raccontare non vuol essere una protesta contro il nucleare o un’interpretazione personale di un disastro avvenuto tanti anni fa; vuole essere un invito a riflettere su ciò che siamo e ciò che vogliamo, ciò che siamo in grado di creare e ciò che non riusciamo a mantenere. Sono le 13 quando arriviamo a Xoiniki dopo ben 32 ore di viaggio in pullman e varie soste per sgranchirci le gambe! Scendiamo nella piazza principale e ad attenderci ci sono i nostri piccoli ospiti con le rispettive famiglie, interpreti e sindaco. Siamo alla fine di aprile e fa freddo. La prima cosa che notiamo è Eternit!

Un intero villaggio con i tetti delle casine in Eternit! Che dire: Continua a piovere sul bagnato!!! Ognuno di noi viene ospitato in quelle misere, ma tanto accoglienti case e all’improvviso è come se venissimo proiettati nel passato. Noi, abituati a vivere agiatamente ,non riusciamo ad accettare di entrate nei loro bagni, ovvero cabine un metro per un metro con bagno turco collocati all’esterno delle casine, negli orticini colmi di tulipani e patate che coltivano con tanto amore. Non riusciamo ad accettare l’idea di lavarci nelle docce comunali due volte alla settimana o mantenersi un pezzo di pane due, tre giorni e via dicendo! Case in legno, finestre senza persiane e due ingressi che non vengono serrati di notte…li nessuno ruba niente! Al loro interno delle vistose tubature percorrono ogni stanza per poter permettere alle stufe a legna di scaldare ogni angolo e ahimè…su quelle stufe verrà poi riscaldata l’acqua per la nostra pulizia poiché in casa non esiste acqua calda!!! Sulle pareti troviamo appesi degli enormi tappeti persiani, tendine ricamate alle finestre ,soprammobili di ogni genere…è così che abbelliscono i loro “nidi”. Le strade non asfaltate, nelle giornate assolate si riempiono di bambini che giocano a palla, galline che corrono qua e la e qualche gatto che ci guarda con tutta la sua diffidenza! Non ci sono molte auto e quei pochi che ce l’hanno ti offrono un passaggio per pochi spiccioli.
Ed è con un 128 che raggiungerò poi Gomel, la città più vicina! La città moderna!!! Poso i bagagli e insieme a Dina, raggiungiamo a piedi la casa di una vecchia zia a due km da casa sua. Lei ha una vasca da bagno e finalmente riesco a fare una doccia calda! Quella dolce creatura conoscendo le mie abitudini mi ha portata li per mettermi a mio agio e io per non farla sentire in imbarazzo decido nei giorno successivi di lavarmi a casa sua, con catini e acqua fredda. Dopo la doccia usciamo e comincio a guardarmi intorno…tutto è colorato lì!!! Le case, i negozi, le auto, le scuole vengono dipinte con colori sgargianti, forse anche per togliere quell’aspetto triste ai viali! I negozi sono collocati tutt’intorno la piazza ,dentro vecchi palazzi o piccoli stanzini e le commesse eseguono il calcolo con vecchi calcolatori che emettono scontrini incomprensibili. Sanno che sei italiana e ti salutano sorridendo, mentre tra loro soltanto un saluto e uno sguardo fugace. Nelle piazze ancora statue di Lenin e monumenti che ricordano la grande guerra e/o il disastro di Chernobyl. E scuole colme di bambini che trascorrono gran parte della giornata, studiando storia, russo, inglese, chimica, fisica ecc…ma anche eseguendo lavori manuali. Lavori che tornano utili nella vita di tutti i giorni in un paese dove non ci si può permettere nemmeno un pezzo di carne!

Gli interni sono in legno e sulle pareti migliaia di disegnini dei bambini più piccoli. Si entra a tre anni e si esce a quindici dallo stesso istituto e, cosa triste, all’interno delle scuole non ci sono bagni! All’uscita della scuola non ci sono i genitori ad attenderli e nemmeno i pullman così ridendo e giocando si incamminano verso casa e mentre qualcuno trascorrerà poi il tempo guardando la tv, qualcun altro nonostante la tenera età, se ne va a lavorare nei campi. Il pomeriggio passa in un batter d’occhio, affamata di conoscenza cammino tutto il giorno cerando di visitare ogni angolo di quel villaggio. Prima del tramonto ci incamminiamo verso casa di nonna Vera e nonno Anatolia, poiché siamo stati invitati per la cena!!! Altri due chilometri circa!!! Sulla tavola limoni conditi, un po’ di salame, pomodori, patate del vino e del buonissimo succo di Betulla…peccato però che gli alberi di Betulla sono altamente radioattivi!

Cenare in mezzo a tante persone che ti guardano e parlano solo ed esclusivamente il bielorusso è imbarazzante, ma capivo qualcosa avendo studiato un pò di russo quindi la serata scorre velocemente e torniamo a casa! La notte in quel piccolo villaggio è silenziosa, misteriosa e affascinante! Non essendoci molta illuminazione il cielo sembra esser più vicino a noi e appare molto più scuro, molto stellato! Ed è con il naso all’insù con rane sparse qua e la che sembrano voler intonare un inno che, camminando nel buio più totale, rientriamo a casa. Quella notte, nonostante la stanchezza, la fame mi ha tenuta sveglia. La mattina dalla finestra della mia stanza ho visto un carro che trasportava donne. Andavano a lavorare la terra. Sembrava davvero di esser tornati indietro nel tempo, ma avvertivo una sensazione bellissima. Li la vita scorre lenta e nonostante i disagi e i problemi legati alle radiazioni le persone vivono serenamente. Ti accolgono con calore offrendoti tutto ciò che hanno e ti fanno riflettere sulla nostra frenetica vita, dove tutto ci sembra dovuto e viviamo stressati e incapaci di offrire aiuto a chi ne ha bisogno.
Arianna De Santis – UN’AFFEZIONATA LETTRICE

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